Affannati alla ricerca di spazi per il rientro in classe degli studenti in autunno, autorità pubbliche, amministratori scolastici, e presidenti di università si preparano a diversi scenari. L’incertezza sulle previsioni di una seconda ondata di contagi da SARS-CoV 2 regna sovrana, ma altrettanto robusto sembra essere il desiderio di tornare alle normali attività scolastiche, pur con le precauzioni che la presenza del virus richiede. L’Italia è in grave ritardo, lo hanno detto in tantissimi, mi ci aggiungo io. L’indecisione del governo ha spinto molti presidi delle scuole medie e superiori ad organizzarsi in proprio, prevedendo rotazioni e quote di lezioni on-line.

D’altra parte organizzarsi richiede tempo e l’improvvisazione–lo abbiamo imparato nei mesi scorsi–fa danni e anche vittime (vedi Lombardia). L’idea che la didattica in presenza sia assolutamente necessaria per l’apprendimento degli studenti sa un po’ di retorica. E nella retorica ci sta dento tutto. La voglia di normalità, il giusto bisogno dei genitori di avere il tempo per lavorare senza doversi preoccupare dell’accudimento dei figli, il bisogno di socialità dei ragazzi. Tutto giusto. Spesso si contrappone l’insegnamento in presenza alla didattica a distanza. L’ho fatto anche io in passato. Però oggi mi domando se la retorica contro l’insegnamento on-line corrisponda a qualche esigenza profonda, oppure sia l’ennesima foglia di fico per mettere all’angolo una grande occasione di investimento per il futuro, che può rivelarsi necessario anche nell’eventualità di una seconda ondata di contagi in autunno. Già, se ciò dovesse accadere e dovessimo essere costretti a tornare ad alcune delle restrizioni di qualche mese fa, sarebbe il caso di farsi trovare preparati. A marzo la chiusura delle scuole è stato un mezzo disastro. Non si dica che nessuno era preparato, non è vero. Alcuni paesi le infrastrutture per passare abbastanza rapidamente all’insegnamento on-line le avevano sviluppate da almeno un decennio: banda larga, acquisto di computers e tablet per fini educativi oltre che ricreativi, formazione del personale docente, preparazione del materiale per le lezioni, e opzioni valide per la preparazione degli esami. Noi no. In Italia arranchiamo. In breve, vorrei avanzare la proposta di un forte investimento sull’insegnamento online, che fino a qualche tempo fa vedevo anche io come fumo negli occhi. Tutte le volte che mi hanno proposto di farlo in passato ho risposto con un NO sdegnato, ritenendo che solo lo scambio ravvicinato fra docenti e studenti potesse dare dei buoni frutti. Ma la pandemia mi ha fatto cambiare idea, e come avrebbe potuto essere altrimenti? L’idea che si debba tornare sui banchi di scuola in questa situazione di incertezza mi ricorda un po’ il volontarismo sovietico, o le audaci sparate del regime fascista italiano. I programmi ideali sono destinati a rimanere tali: programmi. Allora realisticamente converrebbe perlomeno ammettere che non sappiamo come andranno le cose in autunno, e ci converrebbe prepararci al peggio. Investire sulla banda larga a livello nazionale (finalmente), acquistare tablet e computers, instruire il personale docente, ed organizzare la società attraverso dei fondi di supporto alla rotazione dei genitori che dovranno assistere i propri figli dovrebbero essere le priorità del momento. Invece ho paura che il “ritorno” a scuola si trasformerà in un boomerang, perché non saremo preparati. Invece di usare risorse pubbliche per improbabili misure di distanziamento a scuola, troverei più razionale investire in tecnologia e formazione. È vero, probabilmente in Italia siamo più agevolati al rientro a scuola rispetto a paesi come gli Stati Uniti, dove, soprattutto a livello universitario, organizzare il distanziamento sociale è molto più complicato, sia per ragioni culturali che per ragioni logistiche. La vita dei campus universitari è tutta incentrata sull’elemento della socialità. Andare al college è una esperienza unica, fondamentale, memorabile (almeno nella maggior parte dei casi), ed estremamente costosa. Questo spiega anche perché molte università americane hanno deciso di organizzarsi per far tornare tutti al campus (anche se non si sa bene come, ancora): le tasse degli studenti. Tra chi nega l’esistenza stessa del virus, chi rivendica la propria libertà di non portare la mascherina, chi è pronto a sacrificare una quota della popolazione per far vivere e prosperare il resto della “greatest nation on Earth” l’economia vince sempre. Siccome finora abbiamo dimostrato di essere migliori di tutto ciò, sarebbe necessario fare uno sforzo ulteriore di programmazione, senza pregiudizi, e con un pizzico di realismo.

Leave a Reply

Fill in your details below or click an icon to log in:

WordPress.com Logo

You are commenting using your WordPress.com account. Log Out /  Change )

Facebook photo

You are commenting using your Facebook account. Log Out /  Change )

Connecting to %s

%d bloggers like this: